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agliata monferrina e rubatà... andiamo in collina!


Oggi, complice il Calendario del cibo italiano - AIFB che ha stabilito di dedicare questa settimana alla Cucina di collina, ci trasferiamo in Piemonte. 
Per la verità mi rendo conto che il Piemonte non sia l'unica Regione italiana che presenta zone collinari e relative tradizioni culinarie, ma la mia scelta è caduta sulla cucina monferrina.
Sonia, invece, saprà illustrarci la cucina di collina in tutta la sua splendida varietà e personalmente vado subito a leggere il suo aticolo!  
Il Monferrato è il territorio collinare che si estende all'interno delle province di Asti e Alessandria. 
Il nome è di etimologia incerta: alcuni lo fanno risalire alla congiunzione della parole Monte e Farro, per via delle coltivazioni cerealicole della zona, altri al latino Mons ferax - monte fertile - e c'è chi si spinge a ipotizzare un originario Mons ferratus, derivante dai ferri dei cavalli lasciati dai romani al tempo della conquista. Qualunque sia l'origine del nome ci troviamo di fronte a un territorio ricco di storia e cultura gastronomica, che trova la sua espressione nella varietà dei sapori dei cibi di cascina. 
L'orto, la stalla e l'aia, la vigna, questi i capisaldi della cucina del Piemonte collinare, ma non solo: accanto a loro fiorisce la tradizione derivante dalla raccolta di erbe spontanee, funghi, tartufi per un insieme di piatti tutt'altro che scontati e banali, che affondano le proprie radici nella tradizione contadina.
Ecco dunque risotti e minestre, frittate e sformati, la bagna cauda, accompagnata da verdure di stagione e i rabaton, piccole polpette a base di ricotta e erbe di campo.
Sono solo alcuni esempi, a cui si affiancano preparazioni decisamente più ricche e sontuose: il fritto misto alla piemontese, gli agnolotti e i tajarin, le cotolette all'astigiana con il tartufo, i formaggi, freschi o affinati in vinacce o foglie di noci e castagni. Tutto questo annaffiato abbondantemente con i vini pregiati che tutti conosciamo: Nebbiolo, Barbera, Barolo...
Un discorso a parte lo merita il pane di cui la grissia, a pasta dura, è solo un esempio; quello stesso pane che viene utilizzato anche per addensare sughi e salse - da quelle che accompagnano il bollito misto al  bagnetto verde, alla salsa del povr'om - e che rientra nella preparazione di molti dolci. 
La grissia (grissa) dà il nome anche ai grissini, nati proprio in Piemonte nel XVII secolo per curare l'inappetenza del giovane Vittorio Amedeo, duca di Savoia.
E qui si arriva ai langaroli rubatà, "infiltrati" nella mia ricetta anche se avrebbero meglio figurato in una delle prossime Giornate, dedicata proprio a questo alimento.
Mi sono accorta in ritardo dell'esistenza della Giornata del grissino (a cui vi rimando... ma il link sarà attivo solo fra qualche giorno), li ho fatti per accompagnare in modo inusuale l'agliata, dunque qualche notizia ve la devo.
Il nome è dovuto all' "arrotolamento" che si deve imprimere alla pasta al momento della formatura, un movimento simile a quello di un attrezzo utilizzato nel lavoro nei campi, il robat. Prendendo a prestito l'antica tradizione piemontese li ho impastati con farina di segale integrale macinata a pietra, che a me piace tantissimo, anche se ora vengono prodotti con farina di grano. Ne ho ridotto anche la lunghezza, per questioni "estetiche", in realtà i veri rubatà sono lunghi una quarantina di centimetri e presentano le estremità affusolate, con un maggior spessore al centro.
L'agliata monferrina, ricetta principale della mia presentazione odierna, rientra invece in quelle preparazioni a base di erbe aromatiche e formaggi freschi, tipiche delle zone collinari e viene tradizionalmente servita su crostini di pane casareccio, per un atipasto stuzzicante. 
Io l'ho invece trasformata in un inusuale pinzimonio, adatto anche per l'aperitivo, ma ve lo devo dire: per me è stata una vera scoperta, l'agliata è ottima, in casa è sparita in un attimo e sono sicura che non sfigurerebbe come condimento di una pastasciutta.

Notizie tratte dal testo La tavola del piemontese di ieri e di oggi di Damiano Gasparetto e da Wikipedia 



Ingredienti:
per l'agliata
200 g di robiola fresca (io robiola d'Alba, formaggio fresco a pasta bianca, dalla consistenza appena più morbida del quartirolo. Se vi piace il formaggio di capra potete utilizzare la Robiola di Roccaverano)
2 spicchi d'aglio
3 cucchiai d'olio extravergine d'oliva
un cucchiaio di succo di limone
15 g di foglie di prezzemolo
7/8 foglie di basilico
il cuore di un sedano foglie comprese
sale e pepe q.b.
per i rubatà
160 g di farina 00
90 g di farina di segale integrale
5 g di sale
4 g di lievito di birra fresco
un cucchiaio d'olio extravergine d'oliva


Esecuzione:
pulite le erbe aromatiche e sbucciate l'aglio.
Preparate un trito fine di aglio, prezzemolo, basilico e sedano.
Lavorate il formaggio con una forchetta e conditelo con l'olio e il succo di limone.
Regolate di sale e pepate.
Versate in un contenitore e riponete in frigo per un paio d'ore in modo che acquisti consistenza: l'agliata non dev'essere eccessivamente morbida e cremosa.
Nel frattempo preparate i rubatà.
Miscelate le due farine, aggiungete l'olio, il lievito sciolto in 135 ml di acqua e per ultimo il sale.
Impastate molto bene fino a ottenere una pasta liscia. Coprite e lasciate lievitare in luogo tiepido, al riparo da correnti d'aria, fino al raddoppio.
Al termine spianate la pasta, ricavate delle "stringhe" lunghe circa 40/50 cm che farete rotolare sull'asse in modo da conferire ai grissini la tipica forma ritorta, più spessa al centro e affusolata sui lati.
Disponete in teglia e infornate a 200° fino a coloritura.
Dovranno risultare croccanti; nel caso fosse necessario una volta raffreddati potrete ripassarli per qualche minuto in forno per eliminare l'umidità residua.
Servite l'agliata con i grissini o con fette di pane tostato e, se volete, con verdure crude ridotte a bastoncino.