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ricetta Artusi n. 729: orzata



Chi non conosce La scienza in cucina e l'Arte del mangiar bene?
Via, non dico letto, ma almeno il titolo l'avrete sentito.
L'Artusi, che può considerarsi l'autore del primo testo gastronomico dell'Italia unita - La scienza in cucina, appunto -, è talmente famoso da essere trasformato, nientemeno, nel protagonista di un romanzo giallo di Marco Malvaldi, ambientato in Maremma in un'epoca di poco successiva all'unificazione. 

Avevo trovato al mercato delle cervella di agnello freschissime e me le volli far fritte all'uso milanese, ché per i fritti i milanesi van lasciati stare. 
Presi quindi il Nuovo Cuoco Milanese Economico del Luraschi, me lo aprii davanti e cominciai. (Omissis).
Lessi una volta e non ci capii nulla. Riprovai, mi sembrò di aver colto il senso, e provai a far quello che mi sembrava aver capito. Mi arrabattai, e feci male. Queste povere cervella vennero uno de' fritti più ripugnanti e immangiabili che mai mi sian stati messi davanti.
(Omissis)
Venni preso da un accesso d'ira. Imboraggiare? Brasura? Ma che diavolo di parole sarebbero? Quanto grosso sarebbe codesto cucchiale e quanta farina dovrei mettere? 
(Omissis)
Un libro di cucina dovrebbe esser comprensibile a tutti, perché tutti mangiamo e abbiamo diritto a mangiar roba buona e cucinata bene; dovrebbe essere scritto in italiano, perché siamo italiani, e non in quel gergo francioso che viene inteso solo nelle regioni nordiche; e dovrebbe dare delle dosi, vivaddio, in grammi e in litri, che sono uguali per tutti, e non in once, mestolate o pizzichini o ombrette, quando si degnano di darti le dosi. E se tale libro non esiste, lo scriverò io stesso.

Citando queste parole, pronunciate dal Pellegrino Artusi del romanzo di Marvaldi, cosa credete che abbia cucinato per la Giornata del Calendario del cibo italiano dedicata proprio al nostro gastronomo dell'800?
Cervella fritte? 
Ecco, sì, proprio!
NO. Ovviamente no. 
Piuttosto una cosa assai più delicata: l'orzata.
E' stata una seconda scelta, dopo che la prima ricetta era miseramente fallita (colpa mia, non dell'Artusi, ché altrimenti anche lui potrebbe fare la figura del Luraschi, e non sia mai!) e ho dovuto rimpiazzare in fretta. 
Dunque cosa c'è di più rapido di una bevanda, specie se preparata con i moderni mezzi a nostra disposizione - leggasi frullatore anziché mortaio -?
Ma non è solo la rapidità d'esecuzione che mi ha attirato, mi ha incuriosito l'aggiunta di mandorle amare, di cui ho sempre una buona scorta, e quella dell'acqua di fiori d'arancio. 
Mandorle amare: le avevo.
Mandorle dolci: le avevo, buone buone, d'Avola, appena acquistate nella mia drogheria genovese di fiducia.
Acqua di fiori d'arancio: idem come sopra.
L'orzata dell'Artusi ha un sapore spettacolare, anche se a me è venuta una bevanda alla mandorla, più che uno sciroppo da diluire, perché lo zucchero mi sembrava davvero troppo e diminuendone le dosi... in ogni caso metto tra parentesi le sue dosi.
L'autore consiglia una variante ancor più curiosa, coi semi di popone. C'è chi ne sa qualcosa? Per popone avrà inteso il nostro melone? Perché mi piacerebbe provare anche questa.
So invece come finisce il romanzo, ma non vi voglio rivelare nulla, se non che sarà proprio Artusi a mettere sulle tracce dell'assassino il delegato a cui è stato affidato il caso.
Un'ultima piccola cosa: ci credete? Il Luraschi... ce l'ho!


Ingredienti per circa 200 ml di bevanda:
100 g di mandorle pelate + n.5 amare
80 g di zucchero semolato (anziché 400 g che mi sembravano eccessivi)
un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio



Esecuzione:
preparate uno sciroppo con lo zucchero e 100 ml di acqua.
Miscelate i due ingredienti, portate a ebollizione e lasciate sobbollire a fuoco lento per 10 minuti; spegnete e lasciate raffreddare.
Nel frattempo frullate le mandorle dolci e amare con altri 200 ml di acqua, fino ad ottenere una pasta fine.
Passate a setaccio, attraverso una garza, comprimendo bene il composto in modo da ricavare tutto il latte di mandorla.
Unite al latte anche lo sciroppo e l'acqua di fiori d'arancio, mischiate, imbottigliate "l'orzata" e trasferite in frigo, dove potrete conservarla per qualche giorno.



Artusi in realtà mischia il latte di mandorla all'acqua di fiori d'arancio e allo zucchero e fa bollire il tutto per 20 minuti (con doppie dosi). A me sembrava che così facendo gli olii volatili dovessero evaporare e ho preferito procedere altrimenti.
Ovviamente aggiungendo meno zucchero (un quinto!) l'orzata è risultata meno sciropposa, anzi, per nulla, ma non meno buona. A voi la scelta.
L'autore conclude dicendo che pochissima orzata, sciolta in un bicchiere d'acqua, basta per ottenere una bibita eccellente e rinfrescante. Fatta coi semi di popone, viene anche più delicata.