Beh, no, quello c'è tuttora, io sto parlando di Caterina de' Medici.
Discendente di Lorenzo il Magnifico, di cui era la pronipote, giunse in Francia nel 1547 per convolare a giuste nozze - passatemi l'espressione d'altri tempi, visto che parliamo del 1500! - con il reggente al trono, Enrico II.
La sua figura è controversa e legata a leggende nere.
Ricordo di aver visto, diversi anni fa, il film tratto dal libro di Dumas, La Regina Margot. Caterina veniva dipinta come una donna avida di potere, che non esitava a eliminare fisicamente gli avversari della Corona ricorrendo a veleni e massacri, come quello della notte di S. Bartolomeo.
Sicuramente come moglie, madre e suocera di sovrani di Francia, influenzò non poco la politica del tempo, ma il XX secolo ha rivalutato la sua figura, restituendocela come regina attenta ai sudditi e fine "tessitrice" di azioni volte alla pace e riconciliazione tra cattolici e ugonotti. E' anzi probabile che non sia mai ricorsa a veleni, né, sembra certo, abbia ordinato lei il massacro di S. Bartolomeo.
Perché parlare di storia in un blog che si occupa di cucina?
Perché non tutti sanno che Caterina, non soddisfatta della cucina francese, chiamò a corte i suoi amati cuochi toscani, contribuendo così a diffondere preparazioni e usi, come quello della forchetta che sostituì... le mani, di origine italiana.
Oggi, che il Calendario celebra come Giornata dedicata a Caterina de' Medici, sarà Tamara a parlarci approfonditamente e con la competenza che la contraddistingue di due dei piatti toscani legati alla Regina: il cibreo e la carabaccia.
Io ho voluto contribuire cimentandomi con quest'ultima, che può essere considerata a tutti gli effetti la progenitrice dell'odierna soupe à l'oignon. L'ho sempre sostenuto e lo ribadisco: a noi la cucina francese ci fa un baffo!
E' un piatto originalissimo; chi non l'avesse mai assaggiato né sentito nominare, come me fino a qualche settimana fa, non storca il naso.
E' figlio del suo tempo, di quel Medioevo (anche se ormai con Caterina si era in pieno Rinascimento) dove spezie e zucchero si aggiungevano in quantità ad ogni preparazione, dolce o salata che fosse.
E' una pietanza che se non fosse stato per il Calendario non avrei mai provato... e avrei perso molto!
Tutti, ribadisco tutti, gli elementi di questa ricetta sono insostituibili, quindi non cercate di fare i furbetti omettendo lo zucchero, che comunque non si sente, o la cannella, che si sente ma così dev'essere. Anche le mandorle sono importanti: servono a legare il brodo rendendolo meno acquoso, formando una sorta di cremina.
Ho fatto qualche piccolo cambiamento, chiamiamole licenze poetiche: ho unito la cannella solo a fine cottura, affinché mantenesse intatto tutto il suo aroma e il vino bianco è una mia aggiunta arbitraria. E' stato un tentativo (fallito!) di avvicinare mio marito alla pietanza attraverso il senso dell'olfatto. Ma ahimè, mentre gli piacciono molto le cipolle non sopporta la cannella, quindi il suo commento è stato: non è male, ma preferisco la versione francese.
Maledetta soupe!
1 litro e 6 decilitri di brodo vegetale (fatto con una costa di sedano e una carota)
un chilo di cipolle (io bianche)
100 g di mandorle pelate
mezzo bicchiere di vino bianco (variante alla ricetta originale)
1 cucchiaio di aceto bianco (io di mele)
un cucchiaio raso di zucchero di canna (10 g)
un cucchiaino raso di cannella
olio extravergine d'oliva q.b.
sale e pepe
Esecuzione:
pulite e affettate le cipolle, fatele appassire in abbondante olio extravergine e sfumate con il vino bianco (se lo utilizzate).
Unite il brodo vegetale e portate a bollore; nel frattempo tritate le mandorle e mischiatele con lo zucchero e l'aceto.
Unite il trito alla zuppa e continuate la cottura a fuoco lento per almeno 40 minuti, coprendo col coperchio. Regolate la cottura anche in funzione della densità desiderata, eventualmente unendo ancora un po' di brodo o facendo evaporare l'eccesso.
Poco prima di spegnere regolate di sale e unite la cannella.
Poco prima di spegnere regolate di sale e unite la cannella.
Mescolate e servite con una macinata di pepe nero e, se lo desiderate, con crostini di pane rigorosamente toscano.